venerdì 27 maggio 2016

La Scuola Pubblica: Se si perdono i ragazzi più difficili la scuola non è più scuola. E' un ospedale che cura i sani e respinge i malati.

Maria Grazia Fida
Pedagogista e scrittrice
La Scuola Pubblica deve porsi obbligatoriamente quale Istituzione educativa a servizio degli Alunni più lenti. A loro va dato il massimo di possibilità di espressione e produzione di talenti e capacità. E non solo gli insegnanti, ma anche gli alunni più veloci nell’apprendimento debbono collaborare al progresso e miglioramento dei compagni più svantaggiati, evitando la crescita in questi ultimi di un senso di emarginazione dannoso e non facilmente sanabile nel futuro del loro percorso scolastico. Chi l’ha detto che la classe degli alunni migliori non si possa o si debba fermare per soccorrere e far progredire gli alunni più svantaggiati? Chi l’ha detto che la competenza in un bambino di sei anni conti più della motivazione? Chi l’ha detto che se non possa eccellere in tutti gli apprendimenti, non ve ne siano alcuni nei quali possa eccellere più che in altri? Chi si ostina a sostenere tali argomentazioni non ha capito niente della sua professione di insegnante, né possiede una vera e solida formazione pedagogica ed umana, privilegia il solo programma ministeriale a scapito della coscienza e del vero bene degli Alunni. Un insegnante che boccia un alunno svantaggiato o lento, è sempre un insegnante fallito nella sua professione, uno che non ha saputo fare un’unica semplice ma essenziale cosa: facilitare il superamento delle difficoltà, facendo di ogni alunno più che un ragazzo preparato nella matematica o altra competenza, un bravo ragazzo con una forte coscienza umana, con un forte spirito critico e creativo, con una sua personalità dove a eccellere sono prima d’ogni altra cosa le qualità umane e morali. Perché la Scuola Pubblica ha il dovere di educare alla vita!
Un grosso problema dei giovani è la completa estraneità alla politica: "Non mi riguarda", "Non mi interessa", "E' corrotta", sono le risposti più ricorrenti.
E' a loro che occorre spiegare che la politica va alla ricerca degli elementi comuni per realizzare la "polis", cioè la convivenza di tutti. Per far questo occorre sapere "meditare" senza tradire gli ideali, un'arte difficile che si deve accompagnare a un linguaggio comprensibile e a modalità tranquille di confronto.
E' anche importante spiegare come sarebbe bello far politica in modo disinteressato, senza cioè attendersi ricompense e carriere. In una società individualistica e competitiva c'è chi pensa in buona fede che "il riconoscimento" dell'impegno personale debba essere tangibile: un posto in consiglio di quartiere, comunale, e via via, cariche elettive e non, sempre più prestigiose.
Bisognerebbe insegnare invece a provare soddisfazione e gratificazione per quello in cui si è impegnati nel presente.


Ciò è tanto più vero se si considera che il “mondo giovanile” contemporaneo è per gran parte attento più al presente, e al quotidiano, che alla progettazione del futuro e alla ricerca dell’Universale.
In effetti dalle ricerche condotte in questi anni emerge una condizione giovanile imprevedibile, problematica, incerta, capace di distaccarsi dalle “identità” (ossia dai ruoli) che vive in famiglia, a scuola, nei vari gruppi di cui è parte, come accade per gli “stranieri in patria”, che si sentono “differenti”.